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Norme da migliorare sui “Grow Shop”

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Il fondamento normativo che rende leciti i cosiddetti “grow shop”, negozi dedicati alla vendita dei derivati della canapa, è l’articolo 2 della legge 242/2016.

La norma, sebbene legalizzi granparte degli scopi cui la “cannabis light” può essere destinata, ha alcune lacune e incongruenze rispetto alle normative di altri Paesi. La legge italiana vieta la vendita a scopi ricreativi di cannabis con principio attivo di The superiore allo 0,6% poiché provoca effetti stupefacenti.
Mentre è consentita la vendita dei prodotti derivati dalla canapa con un The inferiore a tale soglia.

I “grow shop” sono le uniche attività dove è possibile acquistare legalmente la cannabis-light. Ma ciò è ammesso solo a condizioni precise. Prima di tutto occorre presentare la certificazione che dimostra il rispetto delle normative da parte dei prodotti in vendita nel negozio. Va detto che per avviare un grow shop è necessario rivolgersi allo Sportello Unico per le attività produttive  del Comune dove si intende aprire. Chi intende commercializzare alimenti e bevande a
base di canapa deve aver completato anche il corso “Sab” di idoneità. Il rispetto degli adempimenti è fondamentale in un settore come questo, soggtto a numerosi
controlli, per verificare la liceità amministrativa ma anche quella penale, visto che la vendita di cannabis con principi di The superiore alla legge è un reato punito penalmente.

 

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Garanzia sugli acquisti, ecco come funziona

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PER UN LAVORATORE autonomo con partita Iva la garanzia per l’acquisto di alcuni beni, nel caso in cui venga richiesta la fattura, è soltanto di un anno e non due. Il tema non è nuovo, eppure merita un approfondimento considerato che spesso i clienti si rivolgono a centri di assistenza 0 rivenditori per chiedere informazioni in merito. Capita, ad esempio, dopo l’acquisto (sempre più frequente) di prodotti tecnologici che risultino difettosi.

A fare chiarezza è l’avvocato Cristina Rastelli: «Se si chiede la fattura la garanzia diminuisce».

È LA LEGGE a stabilirlo. Il codice del consumo prevede la garanzia di due anni solo in quei contratti conclusi tra professionista e consumatore. Per quanto riguarda tutti gli altri casi, salvo particolari estensioni riconosciute dal venditore, anche a pagamento, la garanzia legale è di un solo anno. Pertanto il discrimine è la natura dei soggetti coinvolti nell’acquisto del bene. Per professionista si intende chiunque svolge attività di commercio al dettaglio di beni e/o servizi: la definizione include anche negozi, grandi catene di distribuzione e aziende di trasporto. Mentre è consumatore chiunque acquista il bene per uso personale, indipendentemente dall’attività svolta.
Ad esempio un padre di famiglia che acquista un computer o un elettrodomestico per la propria abitazione. In questo caso si applica il codice del consumo che prevede, appunto, la garanzia di due anni. Se, invece, a siglare il contratto sono una catena di elettronica e un soggetto che ha bisogno di strumenti da usare nel suo ufficio, non si applicherà più il codice dei consumo. Se il cliente chiede la fattura, anche al fine di ‘scaricare’ la spesa dalle tasse, interviene nel contratto non come consumatore, bensì come professionista. Venendo meno il codice del consumo, godrà della garanzia di un anno.
Per ottenere una garanzia di 24 mesi sui prodotti appena comprati, il professionista dovrebbe rinunciare alla fattura e, quindi, alla possibilità di detrarre l’acquisto dalle tasse.

Altra soluzione è quella di estendere la garanzia prevista ex lege, ma ciò comporta un costo in quanto si tratta di un servizio a pagamento. Sulla questione interviene anche Alessandro Petruzzi, presidente provinciale di Federconsumatori: «Con l’evolvere delle forme di vendita, di pagamento e dei luoghi in cui avvengono gli acquisti – dice – è evidente che bisogna ridefinire meglio tutele e garanzie, nell’interesse del consumatore e dell’impresa seria. Altrimenti  aumentano le asimmetrie e la percezione di insicurezza da parte di chi acquista».

NAZIONE_21.02.2018


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Falsi corsi per i giornalisti

Category : Rassegna Stampa

Erano una truffa quei corsi per giornalisti. A stabilirlo è stata oggi pomeriggio la
sentenza di primo grado emessa dal giudice Marino Albani. Guerrieri Antonio in
qualità di legale rappresentante della “3 Millenium Publisher Srl” con sede legale in
Ponte San Giovanni, proprietaria della testata “Era2000” e amministratore unico della
“AGSL Srl”, società organizzatrice di corsi per giornalisti pubblicisti è stato condannato
a otto mesi di reclusione e 400 euro di multa. Si chiude così il primo capitolo di una
vicenda iniziata nel 2005.
Appello? Tra novanta giorni saranno pronte le motivazioni della sentenza e a quel punto l’avvocato Chiara Ferrari (che in
una lettera a TO ha contestato un nostro precedente articolo) deciderà se fare appello per il suo assistito. Resta il fatto
che il Guerrieri è stato ritenuto responsabile di tutti i reati a lui contestati dalla Procura.
Truffa e falsa identità. Il 57enne originario di Napoli era stato rinviato a giudizio per truffa. Secondo l’accusa il titolare
della società organizzatrice dei corsi per giornalisti pubblicisti, “al fine di procurare per sé o altri un ingiusto profitto, con
artifici e raggiri consistiti nel pubblicizzare un corso di giornalismo, che dopo 5 settimane consentiva di pubblicare articoli
retribuiti e al termine dello stesso l’iscrizione automatica all’albo dei giornalisti pubblicisti, a fronte del pagamento di
4.800 euro”. Sempre secondo l’accusa l’imputato avrebbe anche mentito rispetto alla propria identità, qualificandosi con
un nome diverso alla giovane che poi ha denunciato la truffa.
La vicenda. Tutto ha avuto inizio nel 2005 quando una ragazza, ma non sarebbe stata la sola, ha sottoscritto l’iscrizione al
corso e il contratto di lavoro per la pubblicazione degli articoli proprio sull’inserto di “Era 2000”, rivista utilizzata secondo
gli inquirenti per lo svolgimento dello stage. La ragazza ha versato prima un anticipo di 150 euro e successivamente altre
somme per un importo complessivo di 1356 euro. Quando non ricevendo i dovuti compensi la giovane ha sporto formale
denuncia sono scattate le indagini della Guardia di Finanza. E’ così emerso che oltre alle denuncia della corsista vi erano
altri ragazzi dubbiosi sulla qualità del corso.
L’ Ordine si è costituito parte civile. A costituirsi parte civile nel procedimento penale è stato anche l’Ordine dei
Giornalisti dell’Umbria, attraverso gli avvocati Cristina Rastelli e Simone Budelli, che si è trovato costretto a valutare le
innumerevoli istanze presentate dagli iscritti al corso che pensavano di poter ottenere il tanto agognato “tesserino”. Ma i
requisiti non c’erano: mancavano le retribuzioni tali da garantire i due anni di collaborazione con una testata
regolarmente registrata. L’Ordine quindi si è trovato costretto a valutare le tantissime richieste senza poterle accogliere
con un aggravio di lavoro e spese burocratiche.

 

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Illegittime le contravvenzioni della Sipa

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Cosa succede se il tagliando del parcheggio è scaduto e la mi auto è ancora in sosta sulle strisce blu?

Se lo chiedono tanti automobilisti perugini dopo che sulla questione, già affrontata nel 2010 dal ministero dei Trasporti, sembrano esserci riaccesi i riflettori mediatici.

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